Doping e ozonoterapia: gli aspetti legali

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Avv. Rossi, il doping è purtroppo un cancro dello sport professionistico, a vari livelli, che non si riesce a debellare e spesso sfocia in cause legali. Qual è il suo pensiero in merito?

In effetti è così e il fenomeno coinvolge anche molti atleti non propriamente professionisti, cioè che non vivono di sport, ma che lo praticano per passione con il desiderio però di competere, cosa che a volte porta a cercare di migliorare le proprie prestazioni in maniera illecita, soprattutto se reduci da infortuni o patologie varie. A dimostrazione di ciò, i problemi connessi all’utilizzo di sostanze farmacologiche nella cura delle patologie che colpiscono gli atleti in attività agonistica sono molto attuali e di rilevata importanza. La possibilità di sconfinare nel fenomeno del doping, quando si intraprende una terapia medica, per la cura di uno sportivo, è davvero consistente, inutile ricordare i recenti episodi di squalifiche inflitte a noti personaggi del mondo dello sport a causa dell’assunzione di sostanze ritenute proibite. Altrettanto attuali e confuse, sono poi le dispute sulla definizione di “integratori” che dovrebbero servire a migliorare la performance sportiva e pertanto teoricamente includibili nella definizione di sostanze dopanti.

Una terapia oggi molto in voga tra gli sportivi per recuperare da infortuni o comunque per sentirsi meglio è l’ossigeno-ozono terapia (OOT): è perfettamente lecita?

Innanzitutto la OOT, si propone come una possibile alternativa ai tradizionali presidi terapeutici offerti al mondo dello sport. Per rispondere alla sua domanda porrei l’accento sul fatto che, come apertamente dichiarano specialisti del settore, non si conoscono affatto effetti migliorativi delle prestazioni sportive negli atleti trattati con ossigeno-ozono terapia, in specie se dette prestazioni vengono effettuate a distanza di tempo dal citato trattamento terapeutico. Anche in assenza di infortuni, ma inserita in un piano di allenamento, la somministrazione di ossigeno-ozono terapia aiuta, infatti, la persona ad avere una sensazione di benessere generale, aiutandola ad eliminare i cd. “radicali liberi”, ma non certo incide sul miglioramento delle prestazioni agonistiche. In altri termini, l’effetto della somministrazione di ossigeno-ozono terapia in un podista non è certo quello di farlo andare più forte.

C’è però chi sostiene che somministrare OOT per via ematica in soggetti sani sia equiparabile al doping?

In realtà, come stabilito anche da alcune sentenze, l’autoemotrasfusione non è affatto equiparabile  sic et simpliciter alla vera e propria trasfusione, trattandosi piuttosto di “infusioni” tra ozono e sangue, in cui quest’ultimo non viene in realtà asportato al soggetto, ma solo utilizzato come vettore per l’immissione dell’ozono. A tal proposito, l’ossigeno-ozono terapia è riconosciuta come una pratica legale, effettuabile anche in uno Studio Medico privato (ovviamente dotato di autorizzazione sanitaria) e non necessariamente in una struttura pubblica. Detto questo, se non si dimostra che migliora le prestazioni sportive, l’OOT può essere utilizzato anche solo per eliminare lo stress ossidativo (radicali liberi) e sentirsi meglio.

In generale perché ci sia doping è necessario accertare la presenza del dolo specifico, è corretto?

Esattamente. Il reato perché sia tale esige il dolo specifico, cioè l’intenzione dell’agente di alterare la prestazione o camuffare, in sede di controllo, l’attività proibita. Le condotte tipiche assumono rilevanza penale alla condizione che l’agente si prefigga dunque la finalità di alterare le prestazioni agonistiche. Il dolo, considerato nella sua dimensione generica, è costituito dalla volontarietà di procurare ad altri, somministrare, assumere o favorire l’utilizzo di farmaci o sostanze comprese in determinate classi, unitamente alla consapevolezza che tali farmaci o sostanze non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo: il dolo, perciò, esula se l’agente ritiene erroneamente che sussistano condizioni patologiche tali da giustificare l’assunzione di sostanze altrimenti vietate. Precisati i contenuti dell’elemento soggettivo, occorre definire cosa si intende per “prestazioni agonistiche” degli atleti, ai fini dell’integrazione del dolo specifico. Sembra chiaro che l’ambito di operatività della norma penale riguardi le sole condotte riconducibili a competizioni ufficiali ed agonistiche, e non certo una pratica sportiva non agonistica, quale può essere l’allenamento.

In conclusione, quali sono le condotte penalmente rilevanti?

Sono la somministrazione, l’assunzione personale o la somministrazione a terzi di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, nonché l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo (per esempio, il doping ematico); oppure idonee a modificare i risultati dei controlli sull’uso dei farmaci, delle sostanze e delle pratiche (per esempio l’uso di agenti mascheranti). Ne deriva che l’assunzione – da parte dell’atleta – di farmaci dopanti per curare una patologia in atto, non è punibile per difetto di dolo, anche nel caso in cui il medesimo abbia agito con la consapevolezza degli effetti dopanti delle sostanze, accettando il rischio di alterare eventualmente le proprie prestazioni sportive. Con uno «slogan riassuntivo» per il quale ai sensi della l. 376 «non è doping il voler “recuperare”, mentre è doping il voler “migliorare”».

Avv. Gisella Rossi