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Il divorzio breve, un bene ma…
La recente riforma in materia di divorzio ha rappresentato una vera e propria rivoluzione, in un ambito rimasto completamente immutato per circa 30 anni.
Essa ha infatti reso possibile anticipare non solo la proposizione della domanda di divorzio, ma anche il momento dell’effettivo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi. Se la legge del 1970 prevedeva che ai fini della proposizione della domanda di divorzio le separazioni dovessero essersi protratte ininterrottamente da almeno 3 anni, a decorrere dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale, la riforma ha ridotto da 3 anni a 12 mesi la durata minima del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio nei casi di separazioni giudiziali. Ancora più breve è l’attesa nei casi di separazioni consensuali: 6 mesi.
Il termine più breve si applica anche alle separazioni che, inizialmente contenziose, si trasformano in consensuali. La legge anticipa poi il momento dello scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi, che in precedenza si realizzava solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Con la riforma, nella separazione giudiziale tale momento si verifica quando il presidente del tribunale, in sede di udienza di comparizione, autorizza i coniugi a vivere separati; nella separazione consensuale, lo scioglimento della comunione dei beni è anticipato alla data di sottoscrizione del relativo verbale di separazione, purchè omologato. E’ poi previsto che – in caso di comunione dei beni – l’ordinanza che autorizza i coniugi a vivere separati debba essere comunicata all’ufficio di stato civile per l’annotazione dello scioglimento della comunione sull’atto di matrimonio.
La legge, infine, ha disciplinato la fase transitoria, applicando le novità ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della riforma, anche quando sia pendente a tale data il procedimento di separazione personale che ne costituisce il presupposto.
Appare evidente come tale riforma conduca ad effetti positivi in tutti quei casi in cui coniugi siano d’accordo in toto su come gestire il distacco (separazione consensuale), mentre non fornisca alcun aiuto in presenza di contrasti insanabili (separazione giudiziale). Inoltre, è concreto il rischio di accrescere la diffusa superficialità con la quale oggi si tende ad unirsi in matrimonio, pensando che tanto poi, magari con altrettanta superficialità, sarà possibile ripensarci in poco tempo.
Vedremo comunque quali saranno i reali effetti nel medio e lungo periodo, esauriti i casi pendenti e trascorso il boom iniziale, che ha visto protagonisti a sorpresa gli over 65: l’amore evidentemente non ha età, né all’inizio né alla fine.