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Molestie sul lavoro, nuove regole
La Corte di Cassazione ha sancito nuove regole (sentenza n. 23286/2016) per dimostrare eventuali molestie sessuali sul luogo di lavoro, stabilendo l’illegittimità del licenziamento della lavoratrice che, così come denunciato anche da altre dipendenti, abbia riferito di essere stata oggetto di molestie da parte del datore di lavoro e che è stata licenziata per “ritorsione” per non aver “acconsentito”. Tale licenziamento viene infatti considerato a tutti gli effetti discriminatorio.
In buona sostanza, a fronte di molteplici testimonianze accusatorie, scatta l’inversione probatoria a carico del datore, che dovrà quindi fornire la prova dell’insussistenza della discriminazione, in caso di licenziamento del lavoratore o lavoratrice molestati, che altrimenti verrà ritenuto illegittimo. La Cassazione sottolinea inoltre che “L’equiparazione tra molestie sessuali e discriminazioni poco si presta, per mancanza del trattamento differenziale, a riflettersi anche sul piano della ripartizione dell’onere della prova. Ora, qualsiasi giudizio di diversità/uguaglianza fra due gruppi di persone in rapporto ad un determinato standard di misura è pur sempre un giudizio ternario, in cui il tertium comparationis è dato dal (diverso o uguale) trattamento ricevuto dai due gruppi. Le discriminazioni (di varia natura) ben possono agevolmente emergere dal tertium comparationis costituito dal trattamento positivamente praticato rispetto ad altre categorie di lavoratori”.
Nel caso preso in esame dalla sentenza della Cassazione citata in precedenza, la situazione presentava una evidente anomalia a carico del datore di lavoro accusato dalle proprie dipendenti di essere un molestatore seriale: il continuo turnover di giovani dipendenti che si dimettevano senza apparenti ragioni poco dopo essere state assunte. La Corte ha così respinto il ricorso presentato dall’imprenditore, confermando la condanna al risarcimento e alla reintegrazione della donna nel posto di lavoro.