Equiparazione della cessione del fabbricato civile a quella di area edificabile: il contenzioso tributario

Le disposizioni normative che disciplinano, dal punto di vista delle imposte dirette, la tassazione della plusvalenza da cessione di immobili abitativi da parte di cittadini privati sono contenute negli artt. 67 e 68 del DPR 22 dicembre 1986 n.917 (c.d. TUIR). Il comma 1 lett. b) dell’art. 67 di detto decreto sancisce, come regola generale, che le plusvalenze realizzate con la cessione di immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni debbano essere considerati redditi diversi e, pertanto, tassati Irpef. Quindi non è tassabile Irpef la cessione di immobili urbani acquistati o costruiti da più di cinque anni.

La deroga

Questa regola generale subisce, però, una deroga con riferimento alle cessioni di unità immobiliari che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto/costruzione e la cessione siano state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari. Tale fattispecie, per espressa previsione normativa, genera una plusvalenza non tassabile Irpef. Per quanto riguarda, invece, i terreni sempre il comma 1 del citato art. 67 prevede che debba considerarsi plusvalenza tassabile quella realizzata, in ogni caso, con la cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria. Con l’art. 68 del TUIR il nostro legislatore, invece, si è preoccupato di disciplinare il corretto criterio per la quantificazione della plusvalenza.

Un fenomeno singolare

Nonostante quanto premesso, nell’ultimo periodo si sta assistendo sempre più di frequente ad un fenomeno alquanto singolare. Molti privati cittadini si son visti notificare avvisi di accertamento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, per il preteso omesso versamento di imposte (Irpef) connesse alla cessione di fabbricati civili successivamente demoliti dall’acquirente (nella maggior parte dei casi imprese di costruzione) nonostante gli immobili fossero stati adibiti, dal cedente, ad abitazione principale e la cessione avvenuta decorsi 5 anni dall’acquisto. La ragione di detti recenti comportamenti di prassi risiede, secondo l’Ufficio, nel fatto che nelle cessioni di immobili da parte di privati cittadini ad imprese costruttrici risulterebbe evidente che l’oggetto del contratto sia rappresentato dalla capacità edificatoria espressa dai beni ceduti e, pertanto, l’oggetto della compravendita non può essere più considerato il fabbricato privo di valore economico, nonostante sia perfettamente agibile, abitabile e in buono stato di manutenzione, in quanto suscettibile di essere demolito, bensì l’area su cui lo stesso insiste, venendo la stessa in rilievo per la sua potenzialità edificatoria. Quindi, secondo la recente prassi ministeriale la cessione avente ad oggetto fabbricati, nel quale il contribuente ha vissuto fino al giorno prima della materiale consegna all’acquirente, non possa essere considerata cessione di fabbricato ma bensì di area edificabile se l’immobile oggetto di cessione è stato subito dopo la cessione demolito, per realizzare una nuova costruzione, ad opera dell’acquirente. Da ciò la pretesa di assoggettare ad imposte la plusvalenza così realizzata da parte del cedente.

A parere di chi scrive una simile interpretazione non è condivisibile soprattutto se, al momento in cui avviene la cessione, non sia certa la demolizione.

La discriminante del Piano di Recupero (PDR)

Le assurde ragioni dell’Ufficio, vanno ricercate nella R.M. 22.10.2008, n.395/E, nella quale l’Amministrazione Finanziaria ha espresso un proprio parere in relazione alla disciplina applicabile alla cessione di fabbricati che rientrano in un piano di recupero (PDR). Nel caso specificatamente trattato con la citata risoluzione ministeriale, l’Ufficio affermava che  il fatto che i fabbricati oggetto di cessione fossero compresi in un’area oggetto di un Pdr faceva si che oggetto della compravendita non potessero essere considerati i fabbricati, oramai privi di effettivo valore economico, ma, diversamente, l’area su cui gli stessi insistevano, riqualificata in relazione alla potenzialità edificatorie in corso di definizione. Appare opportuno evidenziare che, nella fattispecie trattata con la risoluzione n.395/2008, la demolizione non era un’opzione da esercitare, ma in quel contesto era un preciso obbligo da attuare, con l’effetto che oggetto della cessione in quel caso non erano i fabbricati, oramai privi di effettivo valore economico, ma erano le volumetrie di cui era previsto il recupero in occasione del riassetto urbano che sarebbe conseguito all’esecuzione del Pdr e alla costruzione dei nuovi edifici.

Premesso che non si condivide neanche tale assurdo concetto ma anche nel caso in cui lo si volesse accettare,  si deve necessariamente evidenziare che le specifiche motivazioni che sono alla base del parere dell’Agenzia delle Entrate non lo renderebbero applicabile per analogia a casi differenti da quello esaminato nel citato documento di prassi. A dimostrazione di quanto asserito vi è la sentenza n. 392/2/12 del 28.11.2012 emessa dalla Ctp di Ancona, nella quale il Collegio ha ritenuto, infatti, che il caso oggetto del contenzioso non poteva essere trattato alla stregua di quanto indicato nella R.M. 395/E/2008, in quanto le fattispecie sono del tutto differenti: il complesso immobiliare acquistato dalla ricorrente non risultava essere inserito in un PDR cosicché la sua demolizione non rappresentava l’unica e obbligatoria conseguenza già prevista in un programma amministrativo, come nel caso contemplato dalla suddetta risoluzione.

L’estensione di interpretazione e i rischi conseguenti

Però, nonostante la chiara definizione dell’ambito applicativo specifico del principio espresso dalla R.M. 395/E/2008, negli ultimi anni l’Agenzia delle Entrate ha esteso incomprensibilmente suddetta interpretazione per riqualificare diversi atti di compravendita di fabbricati, sulla scorta del semplice fatto che il cessionario ha successivamente demolito gli stessi per ricostruire edifici nuovi.

Innanzitutto, la sola previsione di un’eventuale demolizione non può essere un elemento determinante, in quanto non esiste nel nostro ordinamento tributario una presunzione legale che imponga la tassazione sulla base delle intenzioni del cessionario, potenzialmente non conosciute dal cedente.

Quando l’art. 67 comma 1 lett. b) dispone la tassazione della plusvalenza nel caso di “terreno suscettibile di destinazione edificatoria” o l’esenzione da tassazione della plusvalenza nel caso di fabbricati acquisiti in successione o acquistati da più di 5 anni o, ancora, adibiti per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto e la cessione ad abitazione principale del cedente, il presupposto è la natura del bene venduto ma non certo l’intenzione dell’acquirente, e questo lo si rileva in modo assolutamente chiaro e palese dal tenore letterale della norma che, data l’estrema chiarezza, non richiede interpretazioni di alcun genere.

Accettare l’“interpretazione” fornita dall’Agenzia delle Entrate sarebbe assai pericoloso perché, in violazione del principio della certezza del diritto, renderebbe sconfinata l’incertezza del trattamento fiscale di molte compravendite. Pare assurdo dover gestire il trattamento fiscale in base alla presunta attività che il compratore di un immobile intende effettuare; attività che potrebbe non svolgere mai, oppure svolgere solo a grande distanza di tempo oppure di limitarsi ad interventi di recupero o di ristrutturazione. Per non parlare delle difficoltà, per il venditore che si ritroverebbe a dover indagare, per individuare le reali intenzioni dell’acquirente circa la destinazione dell’immobile.

Una domanda sorge spontanea

A tal proposito, nasce spontanea la seguente domanda: nel caso in cui si cedesse un’area edificabile sulla quale successivamente fosse costruito un fabbricato, quale sarebbe il trattamento fiscale applicabile quello previsto per la cessione delle aree edificabili o quello previsto per la cessione di immobili?

In sede di contenzioso tributario, sono diversi i motivi che potrebbero indurre i giudici a non accogliere le pretese dell’Amministrazione Finanziaria.

Quando è specificatamente previsto che oggetto del contratto di compravendita è il complesso immobiliare e non l’area edificabile, è chiaro che il “nomen iuris” dell’atto corrisponde al fabbricato e non all’area edificabile che rappresenta la reale negoziazione soprattutto se dimostrato dalle trascrizioni successive fatte sul fabbricato e non sul terreno edificabile.

Un ulteriore motivo che esclude che si possa considerare oggetto della cessione l’area edificabile è rappresentato dall’eventuale agibilità dell’immobile. In sede di contenzioso tale assunto potrebbe essere dimostrato producendo, per esempio, copia del certificato di residenza del contribuente cedente.

Inoltre, non bisogna dimenticare la corrispondenza del prezzo di cessione del complesso immobiliare con il suo valore di mercato. Quest’ultimo acquisisce carattere probatorio soprattutto se le parti, precauzionalmente e preventivamente abbiano fatto stimare da tecnico esperto il valore del complesso immobiliare successivamente ceduto. Nel caso in cui non vi fosse una perizia allora bisognerà cercare di dimostrare che il prezzo di cessione corrisponde al valore di mercato adducendo ad altre fonti ad esempio le valutazioni OMI.

Le eccezioni della stessa Amministrazione Finanziaria

Inoltre, in sede di contenzioso, importante sarebbe far emergere che l’Amministrazione Finanziaria, in modo alquanto curioso, in diverse occasioni ha considerato fattispecie analoghe a quella trattata in questo articolo, in modo diametralmente opposto.

Infatti, ad esempio:

  • con la circolare n. 28/E del 21.06.2011, l’Amministrazione è intervenuta sulla questione in relazione al regime Iva applicabile alle cessioni di fabbricati strumentali, chiarendo che il regime di tassazione ai fini Iva è strettamente correlato alla natura oggettiva del bene ceduto, e quindi allo stato di fatto e di diritto dello stesso all’atto della cessione, prescindendo dalla destinazione del bene da parte dell’acquirente. In tale circostanza, l’Amministrazione ritenne che la cessione sarebbe dovuta essere assoggettata ad Iva in quanto oggetto del contratto era il fabbricato, che anche se destinato ad essere demolito, non poteva essere equiparato ad area edificabile.

La tesi, in questa sede sostenuta dall’ufficio, che equipara la cessione di un fabbricato, successivamente demolito, ad area edificabile solo ai fini delle imposte dirette, mentre ai fini delle imposte indirette si sarebbe trattato di cessione di fabbricato, non la si può condividere.

Questa tesi, è stata ribadita dall’Amministrazione finanziaria anche in altre circostanza come, per esempio, in occasione del Telefisco 2011 del 26.01.2011 durante il quale fu precisato che “ai fini dell’imposta sul valore aggiunto occorre avere riguardo esclusivamente alla natura giuridica del bene oggetto della cessione”. Ossia ai fini del corretta trattamento IVA, a parere dell’Ufficio, non si può considerare la destinazione che al bene sarà data dall’acquirente.

  • con la risoluzione 72/E del 23.03.2009, l’Agenzia delle Entrate al fine di negare un’agevolazione ai fini fiscali delle imposte indirette, qualifica la cessione di immobile da abbattere come cessione di fabbricato.
  • Con la circolare 1/E del 19.01.2007, par. 7.4, ai fini dell’iscrizione in bilancio, l’Ufficio ribadisce che nel caso di acquisto di fabbricato da demolire (non per obbligo di legge derivante dall’inserimento del fabbricato in un Pdr, ma per mera scelta imprenditoriale, come nella maggioranza dei casi), ma comunque ancora atto all’uso, deve essere trattata sempre come acquisto di fabbricato, e non di area.
  • Con la R.M. 23/E del 28.1.2009, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che il fabbricato non rappresenta un immobile se non ha raggiunto la copertura del tetto ai sensi dell’art. 2645-bis del c.c., per cui esso deve intendersi, fino a quel momento, area edificabile. A contrasiis, l’esistenza di un fabbricato ultimato, fintanto che non è demolito, non può essere negata e/o cancellata.

Conclusioni

In definitiva, tutte suddette contrastanti interpretazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate valgono da sole a togliere ogni valenza alla tesi sostenuta con riferimento al caso oggetto di questo articolo in quanto apparirebbe irrazionale attribuire ad un atto, che è unico, due diversi significati in due ambiti impositivi, ovvero cessione di area per le imposte dirette e cessione di fabbricato per le imposte indirette.

Contraria alla tesi dell’Ufficio è pressoché tutta la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria.

Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato, Studio 21.9.2012 n.24-2012/T, “la tesi ad oggi sostenuta che equipara la cessione di un fabbricato che sarà demolito dall’acquirente a cessione di area solo ai fini delle imposte dirette, mentre ai fini delle imposte indirette si tratterebbe, invece, di una cessione di fabbricato appare alquanto opinabile.”.

Dello stesso avviso del Notariato anche la giurisprudenza maggioritaria che prendere le distanze dalla tesi dell’ufficio. Ne sono un esempio:

la sentenza della Ctp di Milano n. 377/3/2008 del 22.12.2008;

la sentenza della Ctp di Reggio Emilia n.191/4/2010 del 6.12.2010;

la sentenza della Ctp di Ascoli Piceno n. 202/2/12 del 4.9.2012;

la sentenza della Ctp di Ancona n. 392/2/12 della, Sez.2;

la sentenza della CTR di Bari, sezione distaccata di Lecce n.2161/22/14 del 3.11.2014.

Dirimente, a favore del contribuente, del vasto contenzioso che si sta creando è la sentenza n. 4150 del 21.2.2014 della Suprema Corte. Secondo tale sentenza, non è soggetta a tassazione la plusvalenza conseguente a una vendita di un fabbricato destinato alla demolizione, anche se ubicato su un terreno edificabile.

Ancora più significative sono state le successive sentenze 15629, 15630 e 15631 sempre del 2014, nelle quali la Suprema Corte ha ricostruito puntualmente la ratio sottostante all’articolo 67 del Tuir affermando che “ciò che rileva, dunque ai fini dell’applicabilità della norma in esame, è la destinazione edificatoria originariamente conferita”. Secondo la sentenza n.15629/2014 della Cassazione, rileva la situazione oggettiva del bene trasferito e, se al momento del rogito risulta ancora essere censito l’immobile urbano, non si può parlare né di cessione di area edificabile, né di un diritto di superficie a costruire. Ciò nonostante i cedenti, pochi mesi prima,  avessero richiesto una concessione edilizia per la demolizione del fabbricato e la successiva costruzione di un edificio; concessione poi volturata immediatamente dopo il rogito a favore dell’impresa acquirente.

Dall’esposta copiosa giurisprudenza formatasi, appare evidente che le Commissioni Tributarie continuano a respingere una siffatta interpretazione ministeriale. Ne è un esempio, anche, la recentissima sentenza della CTR di Milano, sez. Brescia, del 26.09.2016 n.4965/67/16 con la quale i giudici hanno ribadito che il termine “terreni”, utilizzato dall’art. 67 del TUIR, “si riferisce a suoli inedificati; …omissis…Rimangono esclusi, pertanto, i terreni già edificati che, per ciò stesso, non sono suscettibili di utilizzazione edificatoria, proprio perché a tal fine sono già stati utilizzati.”

In sostanza, sulla base di tutto quanto esposto, è incontestabile ritenere irrilevante sia la potenzialità edificatoria del terreno su cui è ubicato un fabbricato, sia l’asserita intenzione delle parti di demolire il fabbricato per provvedere ad una nuova edificazione.

In conclusione e alla luce di tutti gli interventi dottrinali e giurisprudenziali esistenti ed esposti, a parere di chi scrive è, da considerarsi, assolutamente opinabile l’assunto ministeriale trattato soprattutto alla luce dell’incertezza che si verrebbe a creare circa il corretto trattamento fiscale di una siffatta fattispecie.

Dott. Giuseppe Mancini