Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti

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Cosa si intende per contratto a tutele crescenti, e quali sono le principali novità del D. Lgs n. 23/2015?

Il 7 marzo 2015 è entrato in vigore il Decreto legislativo n. 23/2015, attuativo del c.d. Jobs Act (Legge n. 183 del 2014), riguardante il “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti”.
A dispetto del nome, il decreto in parola non introduce una nuova tipologia contrattuale , bensì un nuovo regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento illegittimo, destinato a sostituire la disciplina prevista dall’art. 18 della Legge n. 300 del 1970 (c.d. Statuto dei Lavoratori); detto regime non avrà valenza generale, ma verrà applicato ai soli lavoratori che verranno assunti a tempo indeterminato, come operai, impiegati e quadri, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015).
La nuova disciplina restringe ulteriormente le ipotesi di reintegrazione del lavoratore, individuando nel pagamento di un’indennità risarcitoria la sanzione principale applicabile in caso di licenziamento illegittimo.
L’espressione “tutele crescenti” fa in particolare riferimento alle modalità di calcolo di detta indennità, il cui ammontare è parametrato all’anzianità di servizio maturata dal dipendente al momento del licenziamento.

Cosa prevede la nuova disciplina?

E’ stato introdotto un nuovo regime di tutela per le ipotesi di licenziamento illegittimo, destinato dapprima ad affiancare e quindi a sostituire il sistema di tutele previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
In base alla nuova disciplina, il lavoratore ingiustamente licenziato avrà diritto, nella maggior parte dei casi, a percepire esclusivamente un indennizzo economico; la tutela reintegratoria viene invece limitata a poche e residuali ipotesi.
Il datore di lavoro è obbligato a reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato nei soli casi di:
1-licenziamento discriminatorio a norma dell’art. 15 della Legge n. 300 del 1970 (art. 2, co. 1);
2-licenziamento inefficace perché intimato in forma orale (art. 2, co. 1, ult. parte);
3-licenziamento intimato durante la malattia o la maternità;
4-licenziamento rispetto al quale il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore (art. 2, co. 4);
5-licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa rispetto al quale sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.
Nelle prime quattro ipotesi (licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore), il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità ovvero l’inefficacia del licenziamento, condanna il datore di lavoro, oltre alla reintegrazione del lavoratore, anche al pagamento di un’indennità a favore di quest’ultimo e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fuori delle suddette ipotesi, in tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte dalla legge (ad es. in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità che oscilla tra le 4 e le 24 mensilità (da 2 a 12, se si tratta di violazione procedimentale).
Il decreto sul contratto a tutele crescenti si occupa anche dei dipendenti presso strutture che non raggiungono le soglie numeriche richieste per l’applicazione dell’art. 18.
In particolare, l’art. 9 del decreto legislativo 23 del 2015 prevede che, nei confronti di tali lavoratori, trovi applicazione il medesimo regime di tutele previsto per i dipendenti delle imprese di maggiori dimensioni, con due significative differenze: è esclusa la reintegrazione nell’ipotesi del licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto materiale e la tutela economica risulta sostanzialmente dimezzata.
Vale a dire che, in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore occupato presso un datore di lavoro minore, la reintegrazione varrà solo nelle ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo, orale e per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore .
Il decreto legislativo 23/2015 introduce una nuova procedura conciliativa, finalizzata a rendere più rapida la definizione del contenzioso sul licenziamento, che prevede l’immediato pagamento di un indennizzo da parte del datore di lavoro.
Per incentivare questo tipo di soluzione, il legislatore ha previsto che detto indennizzo non costituisce reddito imponibile per il lavoratore e non è assoggettato a contribuzione previdenziale.
L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

 

 

Avv. Giuseppe Colucci