Lo ius variandi alla luce del Jobs Act

Lo ius variandi alla luce del Jobs Act

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.144 del 24 giugno 2015 è entrato in vigore il decreto attuativo del Jobs Act (Dlgs. N.81/2015) in tema di riordino delle tipologie contrattuali e di mansioni.

Il decreto in commento si occupa, per la quasi totalità dei suoi articoli, di riordinare la disciplina delle varie tipologie contrattuali; ad eccezione dell’articolo 3 che invece è dedicato a rimaneggiare l’articolo 2103 c.c. in tema di mansioni del lavoratore dopo 45 anni dalla sua vigenza. La disposizione civilistica era stata così fissata dallo Statuto dei Lavoratori e risultava particolarmente rigida nella possibilità per il datore di lavoro di esercitare lo ius variandi.

In primis il decreto elimina il concetto di mansioni equivalenti, nel rispetto del quale il datore di lavoro poteva modificare le mansioni. Infatti l’articolo 2103 c.c. ante riforma prevedeva che il lavoratore potesse essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto o a quelli corrispondenti alla categoria superiore che avesse acquisito o a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte. Quanto appena detto significava pertanto che il datore poteva modificare le mansioni del lavoratore solamente assegnandoli mansioni superiori o equivalenti in quanto in caso contrario si sarebbe configurata un’illecita ipotesi di dequalificazione. Con l’entrata in vigore del decreto in commento e la contestuale modifica dell’art. 2103 c.c. il datore di lavoro può invece modificare le mansioni in modo molto più libero. Difatti dalla lettura del dettato normativo emerge la possibilità per il datore di lavoro di assegnare al lavoratore mansioni non più equivalenti, ma semplicemente riconducibili allo stesso livello di inquadramento così come previsto nel lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione (art. 52 D.lgs 165/2001). Contestualmente l’articolo 2103 c.c. prevede che il mutamento di mansioni venga accompagnata, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo. Tuttavia, si precisa però che il mancato assolvimento di codesto obbligo non determina la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni, declassando in questo modo la formazione del lavoratore ad una mera eventualità.

Va inoltre aggiunto che con l’entrata in vigore del D.lgs 81/2015 il dipendente non solo potrà essere adibito a mansioni completamente diverse rispetto a quelle svolte in precedenza purché, come si è detto poc’anzi, nell’ambito dello stesso livello di inquadramento, ma anche a mansioni caratterizzate da una professionalità inferiore. A tal fine è sufficiente che il datore di lavoro motivi la dequalificazione in virtù di una modifica degli assetti organizzativi aziendali tali da incidere sulla posizione del lavoratore. L’ipotesi appena contemplata però non è l’unica in cui sia ammessa la dequalificazione, in quanto ipotesi ulteriori possono essere previste da contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’unica tutela riconosciuta in capo al lavoratore dequalificato sta nella previsione del suo diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, ad eccezione però per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. La riforma in commento modifica anche la disciplina relativa alla assegnazione di mansioni superiori.

In particolare è stato aumentato, in assenza di un diverso termine fissato dalla contrattazione collettiva, il tempo di assegnazione delle mansioni superiori, necessario per far sì che l’assegnazione diventi definitiva e il lavoratore acquisisca il corrispondente livello di inquadramento. Infatti a seguito della riforma il tempo occorrente all’acquisizione definitiva della mansione superiore viene elevato a sei mesi contro i tre mesi previsti precedentemente; salvo diversa volontà del lavoratore. Inoltre la riforma precisa che il termine di sei mesi deve essere continuativo al contrario di quanto previsto precedentemente ove la maturazione dei tre mesi poteva avvenire anche sommando singoli periodi di assegnazione a quella mansione.

Secondo la relazione al testo di legge l’obiettivo delle modifiche alla disciplina delle mansioni è quello di garantire una maggiore flessibilità del rapporto di lavoro, sia nell’interesse dell’impresa, sia nell’interesse del lavoratore.

Nonostante però il riferimento nella relazione all’interesse del lavoratore, la nuova disciplina in realtà comporta un evidente e inconfutabile arretramento della tutela del prestatore di lavoro.

Avv. Giuseppe Colucci