Licenziamento per giusta causa, non va fatta confusione

Licenziare un lavoratore è una decisione molto delicata, possibile e legittima a fronte di determinate condotte da parte del dipendente, sulle quali spesso si genera confusione, soprattutto sul significato di “giusta causa”, rispetto ad esempio al “giustificato motivo”, che a sua volta può essere qualificato come “oggettivo” oppure  “soggettivo”.

Una prima semplice distinzione potrebbe essere la seguente: la condotta del lavoratore può portare a un licenziamento disciplinare, per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, mentre la situazione in cui si trova l’azienda può rendere necessario un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

La normativa

Il Codice Civile definisce genericamente la giusta causa quella condotta che non consente la prosecuzione del rapporto neppure per un lasso di tempo provvisorio, tant’è che non è previsto che il lavoratore presti il periodo di preavviso, oppure che gli sia corrisposta la relativa indennità sostitutiva.

 Resta quindi al giudice, in caso di contenzioso, sulla base della di quanto previsto dalla contrattazione collettiva applicabile e delle pronunce della giurisprudenza, il compito di accertare la concretezza della causa, valutandone sia l’aspetto oggettivo che quello soggettivo.

Nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, il datore può licenziare il dipendente soltanto in presenza di giusta causa.

Giusta Causa e Giustificato Motivo

Come accennato all’inizio, il licenziamento per giusta causa non va confuso con il licenziamento per giustificato motivo (di tipo soggettivo oppure oggettivo).

Quest’ultimo, infatti, corrisponde a “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro” nella sua forma soggettiva ed a “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” nella forma oggettiva.

La giusta causa si avvicina al concetto di giustificato motivo soggettivo, ma si differenzia perché in questo caso l’inadempimento del dipendente deve essere ancora più grave, oppure il motivo può anche essere esterno al rapporto di lavoro, ma tale da far venire meno la fiducia nei confronti del lavoratore (ad esempio la condanna per un reato).

Esempi concreti di giusta causa di un licenziamento

La giurisprudenza annovera numerose condotte che possono a pieno titolo essere considerate giusta causa di licenziamento.

Le più comuni, senza pretesa di citare tutte quelle possibili, sono:

  • Falso infortunio e falsa malattia del dipendente
  • Violazione del patto di non concorrenza
  • Scorretto uso dei permessi per ex legge 104/92
  • Falsa timbratura del cartellino
  • Perdita dei requisiti CIG (Cassa Integrazione Guadagni)
  • Rifiuto ingiustificato e reiterato del dipendente ad eseguire la prestazione lavorativa
  • Abbandono ingiustificato del posto di lavoro da parte del dipendente, con conseguente mancanza di sicurezza degli impianti e possibile mancanza di incolumità delle persone
  • Insubordinazione (ad esempio minacce rivolte dal lavoratore ai superiori)
  • Rifiuto del dipendente a riprendere il lavoro dopo che è stata constatata l’insussistenza di una malattia con una visita medica fiscale
  • Lavoro per terzi durante il periodo di malattia con conseguente pregiudizio della pronta guarigione e del ritorno al lavoro
  • Sottrazione di beni durante l’esercizio delle mansioni
  • Condotta extralavorativa penalmente rilevante e idonea a compromettere il vincolo fiduciario

Situazioni non rientranti nella giusta causa di un licenziamento

Come spiegato in precedenza, situazioni che riguardano direttamente il datore di lavoro non possono giustificare un licenziamento per giusta causa, così come altre situazioni che riguardano il lavoratore, che possono però rientrare nel giustificato motivo soggettivo (quindi con obbligo di preavviso in caso di licenziamento).

 

Avv. Salvatore Bruno Amato