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Sentenze pubblicate su internet: è possibile oscurare i dati sensibili?
Il tema della tutela privacy correlato alla possibilità di rendere in forma anonima i dati sensibili contenuti in una sentenza è di quelli che ha appassionato per lungo tempo gli operatori del diritto.
Ciò in ragione del fatto che qui si contemperano due distinte ed importanti reciproche esigenze.
Da un lato il diritto alla riservatezza dei dati personali, così come sancito dal D.lgs. 196/2003, dall’altro l’esplicarsi nella sua totalità del diritto di cronaca con particolare riferimento all’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico.
I fautori della prevalenza del primo dei due diritti – anche sulla base della previsione dell’art. 52 del Codice della privacy, il quale statuisce che, a fronte di legittimi motivi, si possa prevedere fin dalla emissione della sentenza, e dietro espressa richiesta degli interessati, che la stessa venga stampata cancellando il nome e le generalità dell’imputato – tendevano ad affermare che una tale pratica dovesse essere ampliata non solo al caso di pubblicazione su riviste specializzate di informatica giuridica, ma ogni qualvolta in cui l’imputato ne facesse espressa richiesta..
La Suprema Corte di Cassazione, in un primo momento, si era improntata ad adeguarsi ad un tale orientamento a seguito di un’istanza presentata da un imputato per reati sessuali, che, proprio sulla base dell’articolo sopra richiamato del D.lgs. 196/2003, aveva sollecitato che il proprio nome pubblicato sulla sentenza fosse “sbianchettato”.
Per tale motivo, la copia della sentenza n. 22724/05 della Terza Sezione penale era stata stampata cancellando il nome e le generalità dell’imputato e su di essa vi era stato apposto un timbro che consentiva l’anonimizzazione.
Tale decisione era stata fortemente criticata, vedendo in essa un forte contrasto con l’art. 21 della Costituzione, il quale stabilisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
A pochi mesi di distanza, nel gennaio del 2006, anche sulla scorta di quelle precedenti critiche, la stessa Suprema Corte era nuovamente intervenuta, stavolta per mezzo di una lettera del Primo Presidente della stessa che, rivolgendosi ai presidenti titolari delle Sezioni civili e penali ed al direttore dell’Ufficio del Massimario, sottolineava come la Corte di Cassazione potesse rilasciare copie integrali delle sentenze ai giornalisti senza oscurare il nome degli imputati.
Un tale onere doveva, diversamente, prevedersi in capo a coloro i quali avessero voluto pubblicarle su riviste giuridiche specializzate.
Alla luce di queste diversità di interpretazioni si è arrivati ad una pronuncia sul tema dell’Autorità Garante della Privacy, mediante la deliberazione del 2 dicembre 2010, recante linee guida in materia di trattamento di dati sensibili nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica.
Con essa l’Autorità, in sintesi, è venuta a sottolineare come, la magistratura, Cassazione, Tribunali e Corti d’Appello, possano rilasciare copie integrali delle sentenze ai giornalisti senza oscurare i nomi degli imputati, in quanto le sentenze sono atti pubblici pronunciati “in nome del Popolo Italiano”, come ha ricordato la Suprema Corte, ma volendo pubblicare una sentenza su una rivista di informazione giuridica è necessario oscurare i dati personali.
Tale obbligo, invece, non deve valere in alcun modo, al contrario, per la cronaca giudiziaria, in quanto quest’ultima è chiamata ad assicurare il diritto d’informazione dei cittadini.
Per cui, fermo restando i limiti in cui lo stesso diritto di cronaca incorre, in particolare il principio dell’essenzialità dell’informazione, nell’ambito dell’attività giornalistica si possono trattare dati personali, anche sensibili o giudiziari, senza una preventiva autorizzazione, ma si è tenuti a rispettare le specifiche norme giuridiche in materia, le regole deontologiche e i vincoli posti dal codice della privacy.
Ad esempio, non possono essere pubblicati i nomi delle persone violentate, come previsto dall’art. 734 bis del codice penale, non possono essere pubblicati i dati identificativi di un minore, né i dati di un soggetto che ha contratto l’aids, né quelli delle parti di procedimenti in materia di rapporti di famiglia o di stato delle persone. È ovvio, altresì, che vanno oscurati anche i dati relativi ad altre persone dalle quali si potrebbe risalire ai minori o gli altri soggetti tutelati. In ultimo, si dovrà esercitare particolare cautela relativamente ai dati idonei a rivelare lo stato di salute e le tendenze sessuali delle persone, nonché il domicilio di un cittadino.
Ciò, in ragione del fatto che la legge sulla privacy non annulla un’altra legge, la n. 633 del 1941 sul diritto d’autore.
Diverso è invece il caso delle riviste giuridiche, per le quali è lo stesso decreto legislativo 196/2003 a prevedere all’articolo 52 un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.